Secondo appuntamento con il webinar della Fermana con il quale il mondo gialloblù ha deciso di far entrare in contatto il mondo del proprio settore giovanile con quello della prima squadra. Dopo il primo appuntamento che ha visto i giovanissimi difensori con il capitano Marco Comotto è stato il turno delle “saracinesche in erba” fare le proprie domande a Paolo Ginestra, numero uno della prima squadra, che ha messo sul campo tutta la propria esperienza.
Paolo, come mai la scelta di diventare portiere?
“Nasce da mi sorella che non mi vedeva come attaccante. È stata una intuizione di mia sorella e devo dire che alla fine aveva ragione, ero nato per stare in porta”.
Che consiglio puoi dare a noi ragazzi in questi anni di crescita molto importante?
“Credeteci sempre. Seguite i mister che vi seguono da sempre. Non dovete farvi condizionare da altre persone che non vogliono il vostro bene: naturalmente dovete sempre seguire i congigli degli allenatori e della vostra famiglia”.
Se non fossi stato calciatore che lavoro avresti fatto?
“Non lo so cosa avrei fatto. Bisogna portare avanti sia la scuola che il calcio anche perché ad un certo punto si capisce se puoi arrivare o meno. La famiglia è importante. Da giovani ci si diverte ma poi a 18-19 anni devi prendere una decisione. L’importante è essere uomini, a prescindere dal lavoro che fai. Si può anche giocare a calcio in serie minori e portare avanti la propria vita senza pensare di dover essere un professionista a tutti i costi da Serie A ma sempre a testa altissima e con la voglia di giocare e svolgere il proprio lavoro, sempre dando il massimo in ogni circostanza”.
C’è un segreto per affrontare i calci di rigore? Ti prepari prima della partita?
“E’ giusto seguire le indicazioni e dipende sempre dalla situazione. Non solo pensando a come potrebbe calciarlo ma anche la posizione del portiere può influenzare e dare input a colui che calcia. E’ un duello psicologico bellissimo”.
Cosa ricordi del tuo debutto in prima squadra?
“Ricordo tutto e anche nitidamente, fu speciale. Era un Fano-Tempio Pausania tra i professionisti e io avevo solo 17 anni: un esordio pazzesco, una prestazione bellissima e non potevo chiedere di meglio. Forse, se non avessi fatto bene in quel match, non so come sarebbe andata. Dopo quella gara giocai ben 17 gare consecutive ma alla fine fui declassato e messo da parte. Il motivo? Il Fano voleva mandarmi alla Juventus ma io avevo già un accordo con il Milan, avevo dato la mia parola a Braida. A fine campionato poi firmai quattro anni con i rossoneri”.
Sono tanti i sacrifici da fare per provare a diventare calciatore?
“I sacrifici sono una roba incredibile ma fondamentale. Non si può uscire, non si può andare a ballare e tutte quelle cose divertenti che i ragazzi fanno soprattutto nel weekend. Il calcio è una scuola di vita anche perché cresci con quel concetto di vita ma l’amicizia che ti regala il calcio è bellissima. A volte si deve lasciare la famiglia per inseguire un sogno come me che arrivavo da un paese come Pergola e quindi stare lontano da casa era difficile ma ti forma caratterialmente e come uomo”.